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Ottobre on the road. Lungo il Po e alla ricerca dei briganti

Sono una cacciatrice di giallo. Cerco tutte le sue gradazioni, dal meno carico, paglierino, al più intenso, ocra, quasi una terra bruciata. Adoro perdermi in queste tinte calde, le tinte di un autunno dorato. La luce gioca con tutti i colori del sole, mescolando le sfumature quasi volesse dipingere una tela.

Questa mattina sono partita per un’avventura, senza destinazione e senza tempo. L’unico must, restare in Italia. Non so bene cosa mi aspetterà considerato il periodo particolare che stiamo vivendo, ma sentivo il bisogno di partire. Devo liberare un po’ i pensieri, togliere il guinzaglio alla mia mente e svuotare lo zaino di macigni che porto da mesi sulla schiena.

Mascherina, igienizzante e distanziamento. Come mi comporto a casa posso farlo anche in giro. Rispetto e attenzione. Poi, a dirla tutta, non sono a caccia di feste o di gente. Sono a caccia di gialli e di silenzi. Cerco pezzi di cielo, in tutte le sue forme.

E poi ci sono i dialoghi in macchina. Lunghe conversazioni con Noris che al centro hanno 9 volte su 10 il tema del cibo. O le persone che lavorano intorno al cibo, che vivono di cibo. Si parla di farine, di mele selvatiche o di vino naturale. O di personaggi della norcineria tradizionale che rischiano di scomparire. E di pane, quanto mi piace parlare di pane!

La prima tappa del viaggio é stata lungo il Po, nel mantovano. Una graziosa trattoria, il Faro, gestita da una coppia che da vent’anni propone i piatti della zona. Tortelli alla zucca, cappelletti, stracotto d’asino. E per dolce crema di mascarpone o sbrisolona. Il tutto in riva al fiume italiano per eccellenza in una cornice che ricorda le riserve di caccia e i segugi al seguito. E l’immancabile fagiano dalle penne variopinte pronto per essere spennato. Se chiudo gli occhi vedo una grande cucina e il fuoco acceso, molte donne con candidi grembiuli intorno ai fornelli accesi. Sento il loro chiacchierare, lo sferragliare di grandi forchettoni e mestoli, il taglio di verdure croccanti per il brodo. Nell’aria profumi succulenti.

Un peccato andarsene anche per la piacevole compagnia e i racconti di un’estate appena conclusa. Ma era ora di rimettersi in viaggio. La direzione da prendere riguardava una bella storia di comunità, di ripartenza, di giovani e di buone pratiche agricole e turistiche. I briganti di Cerreto.

La strada che dal Po ci ha portato al Passo del Cerreto passa per molti km attraverso grandi spazi disseminati da molti casolari abbandonati. L’immaginazione ci ha permesso di fantasticare su quei luoghi che ricordano un’eleganza in forte declino, delle residenze ormai decadute. Con i tetti sfondati o con piante aggrovigliate  che ricoprono gran parte dei muri. Restano le immagini di ciò che in passato questi edifici devono essere stati.

Da Reggio Emilia verso il Passo poi si passa a tutto un altro scenario, molto diverso. Si entra nel vivo dello splendido Appennino tosco emiliano. Una nebbia che sfuma tutte le linee, rende le colline un pochino simili alla brughiera inglese. E per un attimo ti ritrovi in “Orgoglio e pregiudizio” e ti aspetti di vedere Mr. Darcy a cavallo correre alla ricerca della sua Elizabeth Bennet. Tornanti e luoghi così selvaggi da avvistare gruppi di giovani caprioli. E sprazzi di quelle calde sfumature che tingono le foglie dei vigneti.

È tutto diverso dal Trentino. L’Appennino Tosco-emiliano è una montagna particolare, estesa, ricca e perfetta in una stagione come questa. Sa di cinghiali e ghiande, caprioli castagne. Non di marmotte e aquile o di rocce dolomitiche e pino mugo. Due tipi di una stessa bellezza.

Cala la sera, si accende la luna, unica fiaccola per km sul versante di montagna che abbiamo di fronte. Paesi muti, camini spenti. Mi rendono inquieta e contemporaneamente mi affascinano. Incute un po’ di timore questa strada buia che si inerpica in mezzo ad un bosco così fitto. Pensi ai cinghiali, ti torna in mente Fargo. Poi appare come per magia il rifugio del Passo del Cerreto a 1.261 metri di quota. Ormai non è piu tempo di incontrare Mario e Saverio di “Non ci resta che piangere “. Scorgo due ragazze all’interno, il rifugio è accogliente. Ci fermiamo a dormire. Presto, sarà l’ora dei briganti!

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